martedì 22 febbraio 2022

Tuffo nelle identità di genere

Ed eccomi qui, il vostro amichevole redattore di quartiere più scomodo di sempre è tornato! Dopo un trimestre di assenza sono nuovamente qui a scrivere articoli, nella speranza che questi possano allargare un po' le vedute di alcune persone (non mi sto sicuramente riferendo alla questione del nuovo bagno a scuola) e chiarire interrogativi spesso considerati tabù.

Ma ciancio alle bande, iniziamo! Oggi si parla di identità di genere, tanto per istruire coloro secondo i quali il mondo si differenzia solamente in base all'orientamento sessuale. Ebbene sì, oggi ci addentreremo in questo buco nero toccando, tanto per iniziare, le principali identità (le altre saranno trattate nei prossimi numeri).

Per prima cosa, è bene sapere che le persone che si identificano nel genere e sesso assegnato loro alla nascita sono indicate come "cisgender"; se invece c osì non è, si rientra sotto il termine ombrello "transgender".

Spesso il termine "transgender" viene usato come insulto o come sinonimo di travestito, ma in realtà sta solamente ad indicare, comunemente, persone che vogliono compiere la transizione in modo da appartenere finalmente al sesso giusto, ovvero le così dette donne MtF, ovvero male to female, e gli uomini FtM, female to male (se siete interessati a questo argomento, tra gli articoli già pubblicati potete trovarne uno dedicato solo a questo tema).

Sempre sotto questo termine ombrello ci sono anche coloro che non si riconoscono in nessuno dei due generi socialmente considerati: sto parlando dei cosiddetti “non-binary”, letteralmente non binario perchè non conforme ad alcuno dei soliti generi.

Pur trovandosi sotto transgender, anche l’identità non binaria è a sua volta un ombrello, dato che ci si può identificare anche non sempre nello stesso genere, ovvero questo può essere fluido; da qui l’etichetta “genderfluid”. In questo caso la persona può sentirsi femmina, maschio, nulla o entrambi…dipende da ciascuno e può variare in base a molte cose.

L’essenziale è ricordare di rispettare i pronomi scelti da ciascuno, essere consci che si è validi e far sentire in questo modo anche coloro che ci stanno attorno, evitando di usare questi termini come presa in giro o addirittura insulto. Gli spettri dell’identità di genere non sono molto noti e accettati dalla società ancora oggi; vengono spesso paragonati a disturbi mentali, qualcosa di sbagliato. In questo modo però non si fa altro che insultare sia la comunità LGBTQ+ che coloro che soffrono di malesseri utilizzati in questi paragoni. Lo stesso vale per altre identità come demi boy, demi girl, agender e tante altre.

L’importante è capire chi siamo, se vogliamo darci un’etichetta, rispettare noi stessi e gli altri, a prescindere dalle differenze che ci separano.


Massucco Marta


La strage della Coca-Cola


Ad ogni festa che si rispetti ci sono un paio di bottiglie di Coca-Cola che bisogna affrettarsi a bere perché finiscono in un lampo. Che pizza è senza la mitica bevanda? E cosa ci tiene svegli a scuola se non una buona Coca?

Ma questa bibita non è solo un emblema delle feste e fedele compagna dei nostri pasti, è anche il prodotto dell’azienda più inquinante al mondo. L’indagine dei Brand Audit anche nel 2021, per il quarto anno di fila, ha dichiarato la Coca-Cola l’azienda che reca più danni al nostro pianeta. L’azienda produce infatti 218 miliardi di bottiglie di plastica all’anno che non inquinano solo una volta abbandonate nell’ambiente (nonostante impieghino almeno 450 anni a degradarsi disintegrandosi, nel frattempo, in micro frammenti di plastica che si diffondono ovunque trasportati da animali, venti e correnti marine), ma in ogni fase della produzione. Ma non devo spiegarvi io i danni della plastica per noi e il pianeta, tutti li conosciamo perfettamente e nonostante questo non riusciamo a smettere di utilizzarla.

La Coca-Cola ha sostenuto di utilizzare ancora le bottiglie di plastica perché molti dei suoi clienti le comprano ancora. Siamo noi, dunque, i responsabili della strage della Coca perché i produttori rispondono solo alla domanda dei consumatori. La plastica consente alle aziende di risparmiare, è vero, ma se la vendita delle bottiglie in plastica calasse improvvisamente perché i consumatori, inorriditi dai danni provocati dall’indistruttibile materiale, non volessero più acquistarle le industrie non sarebbero costrette a cercare metodi alternativi per contenere le loro bevande? Questo è il potere del consumatore che spesso ci dimentichiamo di possedere. Lasciamo che siano le aziende a controllare noi dirigendo le nostre scelte, ma la situazione può essere ribaltata, possiamo essere noi a determinare chi avrà successo sul mercato e chi invece fallirà prendendo in mano la situazione sempre più critica.

Chiara Tuberga

STRAPPARE LUNGO I BORDI

È una giornata uggiosa, vi state annoiando e non sapete cosa fare? Bene, abbiamo la soluzione giusta per voi!

Giusto un paio di mesi fa, il fumettista Zerocalcare ha avuto un noto successo con la sua serie “strappare lungo i bordi”

Questa porta sullo schermo un racconto fatto di flashback e aneddoti che vanno dall’infanzia fino ad arrivare ai giorni nostri, seguendo le vicende di Zero, Sarah Secco e Alice, diretti verso qualcosa di incredibilmente difficile.Siamo stati tutti Zero e alcuni di noi lo sono ancora, insicuri, paranoici, indecisi, con poca consapevolezza di sé , con bassa autostima, con scarsa attenzione verso le emozioni degli altri, incapace di comprendere i discorsi astratti però impeccabile nell’aiuto pratico;  siamo Sarah, quando vediamo sempre un lato bello in tutto, quando ancora la speranza in noi non si spegne e ci obblighiamo a vedere il lato vero delle cose. In modo brutale e a volte con una ventata di ottimismo e realismo riportiamo gli amici con i piedi per terra e gli mostriamo che non sono poi così indispensabili per gli altri e che il mondo non è sorretto sulle nostre spalle. Altre volte invece siamo Secco, spensierati, senza preoccupazioni e viviamo la vita così come viene, senza farci prendere dall’ansia. Ed infine, spesso siamo Alice, nascondiamo le nostre debolezze e preoccupazioni agli altri per non farli soffrire, non chiediamo mai aiuto a nessuno e sacrifichiamo la nostra felicità per non scomodare mai gli altri. 

Ci sono troppe ragioni per cui nessuno dovrebbe perdersi Strappare Lungo I Bordi. Possiamo accennare alla durata di solo 15-20 minuti ad episodio oppure alla trama facile e divertente; non mancano poi gag esilaranti o tanti easter egg per veri intenditori; sicuramente è importante l’altalena di emozioni che fa provare ma più di tutte abbiamo le tematiche delicate al XXI secolo che vengono analizzate in modo chiaro e piacevole allo stesso tempo.

Tra i vari e importanti argomenti affrontati c’è senza dubbio il disagio di una generazione che si ritrova a vivere una vita senza senso a causa di un'improvvisa perdita di certezze e anche critiche implicite al patriarcato; si affronta la fragilità psicologica, la violenza contro le donne, l'instabilità lavorativa, il problema del gioco online, il narcisismo e egocentrismo di chi si sente così unico e insostituibile da sentirsi il ​​peso del mondo sulle proprie spalle, gli stereotipi sociali e, infine, la tragedia del suicidio.

Forse gli unici appunti che si potrebbero fare sono proprio al pregio/difetto della durata troppo corta o la trama principale un po’ banale; c’è anche chi non ha apprezzato la parlata romanesca, dovendo attivare i sottotitoli. Ma, grazie alle forti emozioni che la scrittura di Zero Calcare provoca, questa serie è travolgente e arriva a creare quasi una dipendenza, tanto da riuscire a guardarla e terminarla in due ore; perfetta per il Binge watching. L’intero doppiaggio, tranne per l’Armadillo, è realizzato dall’autore, il che la rende ancora più unica. Riesce a presentare in modo impeccabile e ironico la vita frenetica dei Millenials che forse non è poi così diversa dalla nostra da GenZ.

Per tutti questi motivi possiamo assolutamente promettere che questa serie meriti tutto l’hype che ha ricevuto in questi mesi.



Camilla Somale e Alessia Di Rosa 


martedì 15 febbraio 2022

Valorizzare le ferite

Cari lettori,

Oggi continua il nostro viaggio e questa volta siamo diretti in Oriente, più precisamente a

Kyoto dove abbiamo incontrato il grande maestro Hiroki Kiyokawa. Hiroki Kiyokawa è un

grande maestro e artigiano di Kintsugi.

L’abbiamo conosciuto grazie ad una trasmissione televisiva nella quale mostra la sapienza,

la cura del dettaglio, l’amore e la passione per quest’arte. Con il termine “Kintsugi”, che in

italiano si traduce letteralmente in “riparazione con l’oro”, si intende una tecnica giapponese

per riparare oggetti in ceramica. All'interno di questa arte, le fratture non vengono solo

lasciate visibili, ma addirittura evidenziate e valorizzate con l’aggiunta di polvere d'oro, al fine

di creare un nuovo oggetto. Ma adesso lasciamo la parola al maestro!

NOI: こんにちは (Konnichiwa) maestro Hiroki Kiyokawa, è un piacere fare la sua

conoscenza. Grazie per aver accettato di incontrarci, oggi se le va vorremmo parlare della

sua arte.

IL MAESTRO: Grazie a voi per esservi interessate al Kintsugi, per me è un piacere fare

conoscere anche in Occidente quella che per noi è un’antica tradizione.

NOI: A proposito, ci potrebbe spiegare le origini di questa tecnica?

IL MAESTRO: Siamo in Giappone nel XV secolo, quando Ashikaga Yoshimasa, un

importante dittatore militare, ruppe la sua tazza preferita e la mandò a riparare. Dobbiamo

ricordare che a quel tempo si praticavano rudimentali tecniche di riparazione degli oggetti

rotti che si ricostruivano tramite l’uso di legature di metallo che risultavano molto poco

estetiche. Quando la famosa tazza tornò tra le mani dello shogun non fu per niente

soddisfatto e la mandò nuovamente a far restaurare da alcuni artigiani giapponesi, i quali

ricomposero la ceramica pezzo per pezzo grazie alla lacca Urish, una resina di una pianta

arricchita con polvere d’oro. Da qui l’arte dello Kintsugi, che, invece di liberarsi dei cocci rotti,

ne esalta la riparazione con i metalli preziosi.

NOI: È proprio questo che ci ha incuriosito: la grande attenzione che viene data alla

riparazione, che sembra nascondere anche un significato più profondo.

IL MAESTRO: Avete proprio ragione! In Oriente molte azioni vengono spesso compiute con

una valenza maggiore della semplice utilità pratica. Questa tecnica è associata alla

resilienza, ovvero alla capacità di rialzarsi dopo un brutto periodo, migliori di prima.

NOI: In Occidente quando si rompe un oggetto per ripararlo usiamo solitamente la colla

trasparente, in modo da nascondere le linee di rottura, è interessante notare come invece la

tecnica del Kintsugi valorizzi le crepe con il metallo prezioso.

IL MAESTRO: Solitamente l’uomo tende a nascondere le sue ferite perché sono sinonimo

di fragilità e dolore, mentre questa tecnica mette a nudo le imperfezioni e la frammentazione,

scoprendone anche dei risvolti inaspettati. Infatti quando ci sentiamo più soli e annientati che

mai siamo spinti a mettere in atto ed utilizzare capacità che non pensavamo nemmeno di 

avere. il concetto di vulnerabilità può non essere dunque solo visto con un'accezione

negativa, ma al contrario dalle ferite possono sgorgare ideali, emozioni e valori e può anche

entrarvi inaspettatamente la vita, attraverso la volontà di rinascita che parte proprio dalle

ferite che ci sono state inflitte. Una volta aggiustata la nostra tazza e dato valore alla rottura,

sarà come se fossimo riusciti a mettere a posto la sofferenza patita, perché a quel punto

sarà già passata.

NOI: Quindi questa arte ci fa comprendere che le ferite non sono sempre evidenti, ma

colpiscono anche l’animo di ognuno di noi e che non è necessario nasconderle.

IL MAESTRO: Sì, care avete colto perfettamente l’essenza di questa arte che allo stesso

tempo è anche una filosofia di vita. Quello che il Kintsugi insegna è dare importanza alla

nostra unicità, alle nostre imperfezioni, a non nascondere le ferite ma a partire da esse per

reinventarci. Tutto sta a noi e a come riusciamo ad accettare i problemi che si presentano

nella vita con l’opportunità di crescere.

Ringraziamo molto il maestro per le sue illuminanti parole.

Pensiamo che seguendo la sua lezione ognuno di noi possa essere capace di raccogliere i

“cocci” della propria vita e ripararla, il risultato sarà qualcosa di prezioso e unico!


Arianna Lovera e Anna Paruzza


Buongiorno a tutti e bentornati, dopo una lunga pausa, a una nuova puntata della nostra piccola, ma importante rubrica dedicata ai prof.

Pensavate che fosse tutto quanto finito, vero?

E invece no… Abbiamo ancora tante, ma tantissime cose, curiosità e aneddoti ancora da scoprire su quelle persone così autoritarie che vediamo la maggior parte del tempo dietro una cattedra, che ascoltiamo spiegare pagine e pagine di letteratura, storia, … 

Perché, in fin dei conti, ognuno di noi un tempo (che sia prossimo o più lontano) è stato bambino e sicuramente un qualcosa di quell’inguaribile Peter Pan è rimasto in noi.

Quindi, bando alle ciance e ciancio alle bande, passiamo direttamente, concretamente i fatti e lasciamo che un nostro caro professore parli direttamente di sé.



Buongiorno prof, prima di tutto la ringrazio per la sua incredibile disponibilità … Partirei subito con le domande e, quindi, potrebbe raccontarmi qualche immagine della sua infanzia?

- Della mia infanzia ricordo l'acqua alta di Chioggia (Venezia), un’acqua talmente alta che  spesso dovevano portarmi a scuola in braccio perché ero troppo bassa e rischiavo davvero di affogare. A pensarci bene, tutti i miei ricordi sono legati al mare, ai temporali invernali e alle alte onde dell'Atlantico specialmente quando andavo a trovare la mia famiglia materna.

Beh, di certo un’infanzia particolarmente movimentata … e per quanto riguarda i suoi sogni, cosa avrebbe voluto diventare da grande?


- Da bambina avevo tanti sogni … ma, di certo, l'idea più originale su cosa avrei voluto fare da grande era " l'assistente di volo sulle astronavi" … Ovvio, se negli anni settanta si viaggiava in aereo, ero sicura al 100% del fatto che negli anni '90 sicuramente saremmo stati in grado di andare su Marte!! E quindi questa mi sembra l’alternativa più giusta per me … anche perché non potevo fare il pilota o l'astronauta, non era considerato un vero e proprio lavoro da donne (questo era il mio pensiero dato l’essere cresciuta in una famiglia molto conservatrice). 

Crescendo si imparano sicuramente cose nuove … e lei ha scelto di restare in questo ambiente e continuare a lavorare in ambito scolastico. Quindi, la domanda è, cosa ha significato la scuola per lei?

- A dir la verità, anche a causa dei numerosi trasferimenti per lavoro di mio padre, per me la scuola è sempre stata un po’ un purgatorio. Cerco di spiegarmi meglio … mio padre era un militare e devo dire che, come bambina, non è mai stato facile cambiare continuamente città, compagni e insegnanti, specialmente poi nel periodo dell’adolescenza. Ma ho imparato che la cosa più importante è cercare sempre di sapersi mettere in gioco, sia per quanto riguarda lo studio sia per la socializzazione. Comunque, ritornando al nostro discorso, non ero bravissima ma mi piaceva molto studiare, mi piacevano tutte le materie, anche se negli ultimi due anni di superiori ho avuto molte difficoltà con la matematica (questo è un grande indizio... non insegno materie scientifiche!!!) . Paradossalmente devo dire che, alla fin fine, è stata molto più semplice l'Università del Liceo. 

Oggi noi ci rivolgiamo a lei in modo formale … ma ha mai avuto qualche soprannome particolare?

- Il soprannome… quanti ricordi … ne ho avuto tanti tanti… ma, forse, quello che mi faceva sorridere di più è stato "Olivia" (quella di Braccio di Ferro per intenderci) perché, quando ero più piccolino, ero magra magra e questo contrastava con i miei piedi enormi... e poi si sa, l'autoironia è sempre stato il mio forte !!

E come pensa che la vedano oggi gli altri? E in particolare, come pensa che la vedano i suoi studenti?

- Credo di risultare estroversa e altruista. E adesso arriva la parte tosta … Come mi vedono i miei alunni? Non lo so, bisognerebbe chiederlo a loro. Sono sicura però che i miei amici mi vedano come una persona decisa, forte e con un grande spirito di sacrificio, chi non mi conosce spesso mi considera una persona superficiale.

E adesso ultima domanda ma non per importanza … se potesse rinascere in qualche modo, come sarebbe?

- Se dovessi rinascere... sarei mamma e insegnante.... ma vivrei sicuramente in una capanna in riva al mare!



E con questo passo e chiudo, miei cari lettori … avete mica capito di chi stiamo parlando?

Beh … il nostro/ la nostra prof misteriosa pensa di aver dato anche troppi indizi, soprattutto a quegli alunni che la incontrano ogni giorno.

Adesso aguzzate l’ingegno e … alla prossima!




Ballestra Marianna


Disagi per l'organizzazione nella scuola

Ormai siamo vicini alla fine di questo anno scolastico, molti studenti e professori come me hanno notato svariate problematiche all’interno ...