giovedì 10 giugno 2021

Concorso “Ghiaccio fragile” 2020

Il concorso “Ghiaccio Fragile” è un’iniziativa del geologo Gianni Boschis che coinvolge gli alunni delle scuole medie e superiori del Piemonte invitandoli a mettere per iscritto i loro pensieri sul cambiamento climatico. Durante l’anno 2020 la nostra scuola ha partecipato al concorso e vinto molti premi nelle categorie articolo, poesia e racconto.

Quello che segue è il testo che ha vinto il primo premio nella sezione dei racconti.


Nella luce aranciata del tramonto, Tancredi sedeva ai piedi del melo ormai spoglio; teneva il bastone da passeggio tra le mani scarne e la testa canuta poggiata al tronco nodoso dell’albero ma non dormiva, perché non riusciva a chiudere le palpebre.

Gli occhi vispi del vecchio divoravano avidamente la vista che si godeva da quella piccola altura e percorrevano e ripercorrevano il profilo del grande ghiacciaio.

Tancredi lo conosceva bene, quel ghiacciaio, perché sin da piccolo lo aveva avuto sotto agli occhi alla mattina quando si svegliava e la sera prima di addormentarsi.

I ricordi si affollarono nella mente dell’uomo come farfalle impazienti di mostrare i loro colori ed egli si arrese facilmente al gusto agrodolce del passato.

Gli anni gli passarono davanti agli occhi e in ogni singola immagine il ghiacciaio era sempre presente, un perno fisso attorno a cui ruotava la vita dell’uomo assieme a centinaia d’altre.

Ecco il piccolo Tancredi tra le braccia del padre durante la sua prima scalata, le manine protese verso le azzurre creste di ghiaccio; ecco il giovane uomo raggiante nel suo completo scuro mentre sposa la donna che ama ai piedi del grande ghiacciaio; ed eccolo ormai padre di due figli che mostra loro come scalare l’ormai familiare amico di ghiaccio.

Un ricordo particolarmente vivido riportò Tancredi alla notte in cui si era trovato sulla vetta di un monte lì vicino. Era stato allora che, mentre la luce lunare scendeva a illuminare la terra, l’uomo aveva visto il ghiacciaio che si allungava tra le montagne, bianca lingua nella bianca luce, e gli era parso un drago lucente sopito nell’oscurità. Da quella notte il ghiacciaio, per Tancredi, era stato il “Drago Bianco”.

Il ghiacciaio era sempre stato lì, anno dopo anno, nella sua bianca immensità, e mai l’uomo avrebbe pensato che lo avrebbe visto morire.

Il mondo era andato avanti e l’umanità aveva prosperato distruggendo foreste e sporcando l’aria con la sua sete di ricchezza e di potere.

L’uomo è una specie dotata di grande ingegno, ma anche di grande crudeltà e se quest’ultima viene lasciata libera è in grado di portare l’umanità dove nessun animale ha mai provato a spingersi: sulla strada dell’autodistruzione.

Il “Drago Bianco” era dimagrito, si era assottigliato e si era indebolito fino a non riuscire più a occupare il suo rifugio tra i monti. Questo, per Tancredi era un ricordo particolarmente doloroso poiché assieme al suo candido compagno si erano sciolte anche tutte le sue certezze.

Il ghiacciaio stava dunque morendo ma non sarebbe morto in silenzio, no, lui avrebbe ruggito un’ultima volta e avrebbe trascinato con sé l’umanità ricordandole che la natura è l’unica vera sovrana, da sempre e per sempre.

Tancredi sentì nel profondo del suo essere che lui non sarebbe rimasto a vedere la morte del drago, ma non provò tristezza.

L’uomo sentì, invece, un’immensa pietà per l’umanità di cui anche lui faceva parte e che non riusciva a vincere la tentazione del potere, il suo più grande nemico.

A cosa serve lottare tanto per raggiungere la cima se poi ci si ritrova da soli e con un pugno di rocce tra le mani? Non è meglio salire insieme appoggiandosi gli uni agli altri e stringere con le dita del cuore beni invisibili, ma allo stesso tempo più consistenti di qualsiasi roccia sapendo che questi non svaniranno al primo burrone, ma che, anzi, cresceranno fino a colmare ogni crepa e ogni sospiro?

Tancredi sperò che almeno un uomo fra tanti riuscisse a vedere la salvezza tra i fiori di campo e le creste di ghiaccio, che almeno uno riuscisse a raggiungere la vetta senza pestare nessuno, ma, anzi, rialzando chi era caduto.

«Salvali o distruggili, ma poni fine al loro dolore», mormorò l’uomo rivolgendosi all’amico di ghiaccio che aveva assistito alla sua nascita e che ora avrebbe assistito anche alla sua morte.

L’ultimo raggio di sole tinse di rosso fuoco il ghiacciaio morente e baciò il piccolo uomo ormai spento, poi scomparve dietro ai monti.

Forse non era troppo tardi, l’umanità poteva ancora capire, ma se non lo avesse fatto… il ruggito del “Drago Bianco” sarebbe stato solo il primo avvertimento.


A settembre verranno poi pubblicati i testi degli altri vincitori del concorso!


Chiara Tuberga

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